Album di guerra

Album di guerra
I Partigiani del Battaglione "Prealpi" a Gemona

domenica 17 aprile 2011

  Una testimonianza sull’estate partigiana gemonese

Poco nota è forse la testimonianza di Italo Zaina che, nell’estate del 1944, era partigiano col Btg Prealpi sulle montagne gemonesi. Il suo racconto di quei fatti consente di chiarire alcuni dettagli su episodi citati in diversi libri (come le memorie di “Rosa” e di “Nino” e la ricerca di G.F. Gubiani). Molto dettagliato, in particolare, è il racconto delle circostanze in cui morì il partigiano “Tito”.
 
Zaina racconta:

L'8 settembre 1944, quasi tutto il Btg.Prealpi, al comando di Bruno, aggira il
Chiampon attraverso un sentiero stretto, di cui un tratto lungo uno strapiombo
sopra Gemona, alle cinque del mattino per tendere un'imboscata alla compagnia
repubblichina, che sappiamo in ricognizione alla "Sella del Cristo" tra il
Quarnan e il Chiampon. In fila indiana stiamo scendendo verso la Sella con in
testa un ragazzone di Vedronza alto quasi due metri (Era un garibaldino, che di
ritorno da una licenza rientrava al suo battaglione, comandato da Furore sulla
Destra Tagliamento, e avendo pernottato al Prealpi, aveva voluto partecipare
all'azione). Io lo seguivo da vicino con in spalla il castello della mitragliatrice
e ricoperto dal mio telo tenda (piovigginava e procedevamo avvolti da banchi
di nebbia). Improvvisamente risuonò una scarica di mitra. Il ragazzo di Vedronza,
colpito in fronte, cade davanti a me; mi getto subito a terra sparando a
casaccio col mitra; sparano anche tutti i miei compagni. Quando li raggiungo,
strisciando, mi accorgo che il mio telo è foracchiato: due proiettili mi hanno
strisciato un polpaccio e l'avambraccio destro. I miei sono convinti che sono
stato ferito, perché vedono sangue uscire dalla mia bocca; li rassicuro spiegando
che, gettandomi a terra ho battuto col mento, rimasto pure escoriato sopra
una pietra, ma per il resto sono indenne. I repubblichini si sono ritirati, sempre
sparando contro di noi che restiamo illesi. Ritorniamo verso il caduto e lo troviamo
privo del mitra, degli scarponi e la testa crivellata; gli sfilo il fazzoletto
rosso (lo conservo ancora) e avvolgiamo la salma nel mio telo-tenda. Ritornati
alla nostra baita avvertiamo la base di Gemona. Verranno le ragazze della filanda
a recuperare il corpo e quando queste giungono in città, vengono fermate
dai fascisti che gettano il caduto in un letamaio: verrà recuperato dopo la liberazione
ed onorato con un solenne funerale.
L'indomani Bruno, per dimostrare che gli uomini del Prealpi non erano stati
intimiditi, ordina un'azione sulla Pontebbana. In quattro uomini, io, Ernesto,
Tarcisio di Gemona e Avon di Venzone, esperto della zona, con una mitragliatrice,
tre canne di ricambio, trenta bombe "sipe" e scorte viveri per un giorno
(polenta, acqua e formaggio) partiamo da Ledis alle 16 del 9 settembre. A
mezzanotte in punto passiamo la vetta del Plauris e dopo una rapida salita in
rettilineo ci riposiamo al riparo del vento gelido per una mezz'ora. Riprendiamo
il cammino in discesa e, verso le cinque, sostiamo presso una baita dove
troviamo ricotta salata che accresce la nostra sete. Alle 15 del 10 settembre
giungiamo sulla Pontebbana quasi di fronte a Moggio, in località Rio Barbaro.
La roccia scende perpendicolare sulla ferrovia, dove bivaccano un gruppo di
tedeschi a torso nudo che vediamo portare i loro cavalli ad abbeverarsi nel torrente
Fella che scorre a fianco della strada.
Rifocillati e riposati mettiamo in opera il nostro piano d'azione: sopra due
grossi tronchi che troviamo nel bosco fitto, innalziamo una muraglia di grosse
pietre sull'orlo del precipizio, lunga due metri e alta uno e attendiamo finché
col binocolo vediamo giungere da Chiusaforte treno militare tedesco; quando
questo, giunge a pochi metri, scaraventiamo sui binari la muraglia di pietre insieme
a grappoli di bombe "sipe" e con la Breda cerchiamo di colpire il carro
officina posto tra la strada e la ferrovia. Immediatamente entrano in funzione,
dal basso, i mortai che colpiscono la zona in cui ci troviamo. Ci ritiriamo tra
gli scoppi delle granate che ci inseguono per ore. A mezzanotte siamo di nuovo
sulla vetta del P1auris. Qui, sfiniti, ci lasciamo scivolare sul pendio ripido
per alcune centinaia di metri, dopo che ci concediamo una breve sosta. Avon
decide di lasciarci per andare a salutare la famiglia a Venzone e noi tre proseguiamo,
giungendo in Ledis nel pomeriggio e prima del riposo stendo una breve
relazione per Bruno.
Prometto qui che io ed Ernesto ci eravamo assuefatti alle marce in Ledis: per
rifornirci di farina di frumento e granoturco, gli uomini del Btg. con l'ausilio di
un mulo ed una marcia di quattro o cinque ore, raggiungevamo i Musi, dove si
trovavano nel bunker le nostre scorte viveri e ritornavamo con un carico di 40
Kg ciascuno, dopo che avevamo diritto ad un giorno di riposo. Nei giorni
normali, il compito più duro era il servizio di sentinella notturno, poiché tutta
la zona era sorvegliata da gruppi che si davano il cambio ogni tre ore e il punto
più lontano era quello disposto verso i Rivoli Bianchi, tra Gemona e Venzone,
dove di giorno disturbavamo con la mitragliatrice i lavori di ripristino della
ferrovia, bombardata ogni giorno dagli aerei alleati. Mettevamo fuori uso il
compressore e prima dell'azione avvertivamo gli operai affinché si mettessero
in salvo dopo la prima bordata innocua. Nelle ore di ozio si istruivano i giovani
all'uso delle armi e degli esplosivi. In Ledis strinsi una fraterna amicizia col
gemonese Celetto: era laureato in filosofia e morirà, stroncate entrambe le
gambe da una bomba, nel grande rastrellamento di fine settembre. (…)

(dal sito www.bassafriulana.org )

Pubblicato il  

• 22/10/2008 

sul Blog "Guerra nel Gemonese"

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