Album di guerra

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I Partigiani del Battaglione "Prealpi" a Gemona

sabato 11 giugno 2011

Donne carniche nella Resistenza: Giulia di Enemonzo

Le donne carniche della Resistenza 


Ci auguriamo che l’encomiabile iniziativa del Comune di Udine per l’intitolazione di un piazzale alle donne Resistenti possa trovare anche in Carnia adeguato riscontro. Pensiamo, in particolare, per l’occasione delle commemorazioni della Repubblica Libera che si terranno il prossimo autunno, quest’anno associate all’Anniversario dell’Unità d’Italia. Ci commuove pensare che fosse un’idea cullata da “Gianna” moglie e compagna di Mario Lizzero, il comandante Andrea. Più volte il Messaggero Veneto ci ha consentito di tratteggiare la figura di alcune di queste combattenti che hanno coniugato il loro essere donne e carniche con l’attaccamento ai valori della Patria e della lotta di liberazione. Paola, Vera, Katia, Nina, Agata, Liduina e tante altre sfidarono le convenzioni di un atavico mondo patriarcale per consegnarci un Paese libero dall’invasore, ma anche profondamente cambiato soprattutto nella considerazione del ruolo e dei diritti dell’universo femminile. 
Ci sia permesso di ricordare brevemente il profilo di un’altra di queste straordinarie protagoniste che offrì il proprio entusiastico contributo alla causa senza mai tirarsi indietro, senza mai cercare riparo o scusante appunto per l’essere donna o per l’essere giovane: Giulia Nassivera di Enemonzo. Aveva solo 21 anni quando morì di tisi all’Ospedale di Udine nel 1946, 21 anni compiuti e bruciati nella buia stanza di un reparto per incurabili. Quando la vita brilla alla luce, Giulia dovette lasciarla. Contrasse probabilmente malattia proprio per non essersi risparmiata impavida nella lotta, svolgendo il difficile incarico di portaordini alle formazioni partigiane, in particolare verso il presidio di Pani. Faceva parte della struttura d’informazioni che lavorava silente nei paesi e che era definita "del terreno". Giulia era maestra elementare, era cresciuta in un ambiente vicino al regime, il padre titolare della locale macelleria, di origine fornese, ragazzo del ’99, indomito Ardito del conflitto mondiale e camicia nera della prima ora, ma ben presto aveva maturato ben altre convizioni. Si era formata alla scuola del professor D’Orlando suo paesano, vecchio e solido antifascista, amico del Mussolini socialista. E’ descritta bravissima nell’impegno e nell’ingegno, bellissima nell’aspetto e nel portamento. Tra le prime a entrare nel movimento Resistenziale a diciotto anni, garibaldina nello spirito e nell’animo, apostola di una nuova era. Nella stanza dell’ospedale dove la tubercolosi la stava consumando e poco prima che cominciasse il suo tempo ultimo, Giulia esclamò, alzandosi a fatica dal letto, davanti alla zia che l’assisteva e alle luci di una Udine che rinasceva: «Ce biel ca le il mond agna par dovei murii e lasalu». Quel mondo nuovo Giulia aveva contribuito a crearlo. Di lei ci restano gli occhi e il sorriso vivissimi in un quadro che la sua mamma conservava come una reliquia in una stanza dei ricordi. Una folla enorme e commossa l’accompagnò al camposanto di Enemonzo per l’ultimo viaggio. Fu Pietro Pascoli, il carismatico “Lenin” di Quinis, a ricordarne sapienza, audacia e valore. In quel camposanto Giulia riposa nella riservata e accudita tomba di famiglia. Su quel freddo marmo non manchi mai un fiore, perchè è il fiore, come canta «O Bella Ciao», di una partigiana senza età, morta per la nostra libertà. 


Pierpaolo e Viedo Lupieri Tolmezzo


(da: Messaggero Veneto, 10 giugno 2011)

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